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Amnesty International: campagna contro la mortalità materna

L'Unicef: quattro milioni di bambini perdono la vita alla nascita o nei primi 28 giorni. Campagna di Amnesty International per contrastare questa strage. Ogni anno 350mila donne muoiono durante il parto: 95% in Africa e Asia.

In molti Paesi venire al mondo è un già un bel problema, figurarsi poi vivere dignitosamente: chi tira a campare è già fortunato. Sono circa 350mila le donne che muoiono ogni anno durante il parto o per complicazioni relative. Chi tenta di nascere non se la passa meglio, anzi: sono 4 milioni i bambini che perdono la vita durante il parto o entro i primi 28 giorni successivi. Questa ecatombe divide il mondo in due parti disuguali: il 99% di questi decessi avviene in paesi in via di sviluppo. Da un rapporto Unicef risulta che il 95% della mortalità materna avviene in Africa e in Asia. La nascita dovrebbe essere un denominatore comune che non fa distinzioni; a questo ci pensa poi la vita. Ma almeno il punto di partenza dovrebbe essere uguale per tutti: cominciare da orfani non è un buon inizio. La Sierra Leone ha il più alto tasso mondiale di decessi materni e due soli paesi, India e Nigeria, registrano un terzo delle morti di tutto il mondo.

Storie di madri e bambini                         

Molto tempo fa sono state fissate le regole: “Tu lavorerai con sudore, e tu partorirai con dolore”. Si trattava di un destino valido su tutta la Terra, senza discriminazioni. Oggi non è più così: «Per una donna che vive nei paesi poveri – spiega la direttrice generale dell’Unicef Ann Veneman - il rischio di morire per le complicazioni legate al parto è 300 volte più alto di quello che corre una donna che vive nei paesi occidentali». In una ricerca svolta dalle Università di Washington e Brisbane, e poi pubblicata sulla rivista Lancet, che prende in esame il periodo dal 1980 al 2008, si registra un calo numerico dei casi di mortalità delle donne legate al parto: da 526mila a 342mila. Ma in molti paesi africani la situazione è invece peggiorata: in Zimbabwe, per esempio, è aumentata del 5,5%. Ma anche negli Usa, nonostante una spesa sanitaria tra le più alte del mondo - 86 miliardi di dollari all’anno - da due a tre donne perdono la vita per complicazioni legate alla gravidanza o al parto. «Negli Usa le principali vittime – denuncia Amnesty International - sono madri che appartengono a minoranze etniche, a comunità native, o ragazze povere arrivate da altri paesi. Nei casi di gravidanze a rischio, le probabilità di morire per le donne afroamericane sono 5,5% più alte rispetto a quelle appartenenti al gruppo etnico maggioritario».

CAUSE E RIMEDI – Le morti delle madri avvengono quasi sempre tra sofferenze atroci: la maggior parte perde la vita a casa, senza assistenza medica, altre mentre cercano di raggiungere un ospedale, quasi sempre a piedi o con mezzi di fortuna. Non c’è una causa unica a determinare queste morti, che sarebbero molto spesso evitabili, ma il concorso di molti fattori: le condizioni alimentari e di igiene, l’impossibilità di accedere a cure prenatali e l’assenza di un operatore sanitario durante il parto. Altri decessi si eviterebbero semplicemente con delle visite postnatali. «Tutte le ricerche – commenta Ann Veneman - mostrano come l’80% delle morti materne potrebbe essere evitato se le donne avessero accesso alle cure sanitarie di base». Ma già una zanzariera impregnata di insetticida, o l’accesso all’acqua potabile abbasserebbero di molto il bilancio di questa impari lotta per la vita che si conduce ogni giorno in paesi dimenticati. Come ad Haiti, dove un bambino su sei è orfano e dove il tasso di mortalità materna è pari a 20 volte quella dei paesi industrializzati. Molti piccoli haitiani soffrono di malformazioni legate a parti malgestiti, infezioni e patologie neonatali non diagnosticate. Con il terremoto del gennaio 2010 le poche cliniche del parto esistenti sono crollate o gravemente danneggiate. Poi è arrivato il colera ma i riflettori dell’Occidente su questi drammi funzionano a intermittenza: hanno illuminato le promesse di Obama secondo cui, dopo il terremoto, «Haiti sarebbe diventata una priorità per la politica americana». Poi quelle di Bill Clinton, nominato inviato speciale Onu: «Se ci limiteremo a riportare l’isola a com’era prima del terremoto non mi riterrò soddisfatto». Sono rimasti invece spenti di fronte al fatto che i donatori internazionali non hanno fatto quasi nulla per rispettare i loro impegni. I fondi promessi dagli Usa sono ancora bloccati al Congresso e a luglio era stato consegnato all’isola solo il 2% degli aiuti annunciati. Il sisma e la mancata ricostruzione sono scomparsi dalle prime pagine dei giornali, Haiti è tornata a far parlare di sé solo “grazie” all’epidemia di colera, ma sul resto del mondo che promette e non mantiene tutto tace, o quasi.

LA CAMPAGNA DI AMNESTY – Questo è lo scenario nel quale è partita la nuova campagna mondiale di Amnesty International contro la mortalità materna. L’associazione internazionale chiede ai governi che l’assistenza ostetrica di urgenza sia disponibile per ogni donna, che siano eliminati i costi che ostacolano l’accesso alle cure mediche di base e che sia tutelato il diritto delle donne al controllo sulla loro vita sessuale e riproduttiva. Fino al 12 dicembre è possibile sostenere questa campagna anche inviando un Sms.

 

 
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